La coppia omosessuale ha diritto al congedo straordinario per matrimonio previsto dal Contratto Collettivo

Lo ha stabilito una recentissima sentenza (dicembre 2013) della CGUE (caso 267/12) affermano un principio di rilevante importanza: “La normativa di uno Stato membro che conferisca benefici in termini di retribuzione o di condizioni di lavoro unicamente ai lavoratori sposati, mentre il matrimonio è legalmente possibile nel medesimo Stato membro solo tra persone di sesso diverso, crea una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale nei confronti dei lavoratori dipendenti omosessuali uniti in un Patto di Convivenza che versino in una situazione analoga”.

La Corte di Giustizia della UE era chiamata a giudicare il caso di un dipendente francese di una banca di quello Stato che aveva concluso un PACS (Patto di Convivenza) con una persona dello stesso sesso, non potendo contrarre matrimonio omosessuale per divieto legale, e si era visto rifiutare, dal datore di lavoro, il congedo straordinario e il premio stipendiale, concessi ai dipendenti in occasione del loro matrimonio.

In altri termini la Corte di Giustizia Europea doveva verificare se il contratto collettivo nazionale, comportasse o meno una discriminazione diretta o indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, laddove non prevedeva la concessione del congedo matrimoniale e degli altri benefici anche alle coppie omosessuali.

La Francia, per effetto di una legge recente, riconosce i PACS. Il PACS è un contratto di convivenza concluso tra due persone fisiche maggiorenni, di sesso diverso o del medesimo sesso, per organizzare la loro vita in comune.

Anche l’Italia introdurrà presto i “Patti di Convivenza”, se il disegno di legge presentato dal PD nel maggio scorso e diretto a introdurre nel codice civile il riconoscimento giuridico dei patti di convivenza, diverrà legge come moltissime coppie conviventi auspicano.

In questo caso non si vede perché i principi dettati dalla Corte di Giustizia non possano valere anche per il nostro Paese, con tutte le conseguenze sociali ed economiche del caso.

 

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In effetti la Corte ha fatto applicazione di un sacrosanto principio che è quello che vieta la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, come stabilito dagli articoli da 1 a 3 della direttiva CE 2000/78, nonché all’articolo 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950.

Secondo la Corte sussiste discriminazione diretta, a termini dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78, quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1 di quest’ultima, fra cui l’orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di un’altra in una situazione analoga. Secondo la Corte di Giustizia non è necessario che le situazioni siano identiche, ma soltanto che siano comparabili.

La Corte afferma testualmente che: “le persone del medesimo sesso che, non potendo contrarre matrimonio, stipulano un PACS, si trovano in una situazione analoga a quella delle coppie che si sposano, le differenze tra il matrimonio e il PACS, sono ininfluenti sulla valutazione del diritto del lavoratore a ottenere benefici in termini di retribuzione o di condizioni di lavoro come quelli di cui trattasi nel procedimento principale”.

Si tratta dell’affermazione di un principio di enorme portata, specie in un Paese come il nostro ancora vincolato a preconcetti nei confronti delle coppie omosessuali. Una sentenza che sicuramente costituirà un baluardo per le future rivendicazioni dei diritti delle coppie gay.